Che cosa succederebbe se

… un armadillo suonasse alla vostra porta, all’alba, chiedendo un gin-tonic

… sulla nostra pelle fiorissero i nostri pensieri

… se in Piazza dell’Ateneo qualcuno trovasse, in un bel mattino di primavera, un grande uovo azzurro picchiettato di verde

… le stelle iniziassero a sparire, una dopo l’altra, di giorno in giorno, inesorabilmente

… un mattino vi svegliaste scoprendo con meraviglia di avere lunghi e fini capelli di vetro

… se durante un temporale estivo iniziassero a piovere semi tondi come biglie, sconosciuti, profumati

… se un giorno decideste di salire a vivere sulle cime degli alberi, per non voler mangiare un piatto di lentiggini altrui

… se vi ritrovaste, un giorno, divisi in due metà indipendenti: la metà destra col meglio di voi e la sinistra con gli aspetti peggiori

… se vi svegliaste un mattino trasformati in un enorme e viscido gasteropode terrestre

5 pensieri su “Che cosa succederebbe se

  1. Che cosa succederebbe se…un armadillo suonasse alla vostra porta, all’alba, chiedendo un gin-tonic.

    Era una delle prime sere d’estate e c’era un caldo secco sferzato, di quando in quando, da una lieve brezza che portava con sé una ventata di aria fresca. Io e Alice, la mia coinquilina, eravamo sedute sul balconcino e ci raccontavamo la nostra giornata sorseggiando uno spritz e fumando una sigaretta. Guardando verso il basso scorgevamo le macchine colorate sfrecciare da un lato e dall’altro e le persone sul marciapiede correre verso le proprie abitazioni. Il venerdì sera stava arrivando e tutti in città si preparavano a vivere una serata di follie tra feste in piscina, cene lussuose e pub.
    Mentre stavamo chiacchierando ci accorgemmo che il sole stava tramontando, così ci affrettammo a finire i nostri drink e corremmo a cambiarci per la serata. Io misi un vestito blu cobalto che risaltava i miei occhi scuri e la mia carnagione chiara, alice, la più estrosa delle due, indossò un abito color oro, divino data la sua carnagione un po’più scura poiché era da poco stata al mare.
    Quando stavamo per metterci le scarpe ecco che Mike e Matteo suonarono alla nostra porta. Zampettando a piccoli e veloci passi giunsi alla porta d’ingresso, aprii e li feci accomodare sul divano. Matteo osservò incuriosito il salotto: c’era un divano a elle in mezzo alla sala posto di fronte alla tv. Dietro c’era un tavolino bar con diversi alcolici tra cui uno che non aveva mai provato ma che era famoso per il suo anello: si chiamava Monkey. Allungò il suo braccio e con le sottili dita dalla forte presa sfilò l’anello dalla bottiglia e lo mise in tasca. Giusto in tempo! Infatti passarono pochi minuti e le due fanciulle scesero dal piano superiore pronte ad andare.
    Passammo la notte a cacciare locali dove poter ballare, bere e conoscere nuove persone poi, vedendo che stava per sorgere il sole in lontananza, decidemmo di tornare a casa e così i nostri due cavalieri ci accompagnarono per poi dirigersi alle loro dimore.
    Era passata circa mezz’ora da quando io e alice eravamo giunte a casa; io ero già nella mia stanza a dormire e alice si accingeva ad andare a letto quando sentì il campanello suonare. Guardò dalla finestra e vide Matteo. Scese alla porta e chiese “Matteo! cosa hai dimenticato questa volta?! Sei sempre il solito distratto!”. Il ragazzo, diventato rosso in volto rispose “ Scusami tesoro! Sai sono il solito sbadato e devo essermi dimenticato le chiavi di casa sul divano. Già che sono qui mi offri un gin tonic?”. Alice, che era solita preparare drink al pub dove lavorava con la sua coinquilina, lo invitò ad entrare e gli diede le spalle mentre preparava il cocktail. Quando si girò e appoggiò il bicchiere sul tavolino vide che Matteo aveva appoggiato un piccolo anello su di esso. Lo prese, lo porse ad alice e gli disse “Buon anniversario armadillina mia!”. Alice lo prese tra lievi lacrime che le rigavano il dolce musetto allungato e lesse la frase incisa al suo interno “Unum ex pluribus”. Alice riconoscendo l’anello della bottiglia chiese il motivo di questa scelta e Matteo rispose “perché tu, con il tuo modo di fare mi rendi quello che sono quindi hai fatto di me uno da molti”.

  2. Cosa succederebbe se in Piazza dell’Ateneo qualcuno trovasse, in un bel mattino di primavera, un grande uovo azzurro picchiettato di verde

  3. Eccoci qua, la solita mattina, la solita routine: sveglia alle 6.40, pullman in ritardo, treno in ritardo, metro in ritardo, vita in ritardo…tutto normale, almeno fino a qua.
    Finalmente all’alba delle nove sono quasi arrivata in piazza dell’Ateneo Nuovo, con la mia brioche ben salda tra le mani (continuo a ripetermi che me la merito…la dieta dopo Natale…), affronto quei sei scalini maledetti con la concentrazione che ci metterei a scalare l’Everest. -Non devo cadere…non devo far figure di m*, non devo cadere…non devo far figure di m*, non devo cadere…non devo far figure di m*…-…insomma…avete capito!
    E… mai vista così tanta gente tutta insieme in Università, neanche il primo giorno di lezioni..anzi..neanche quel giorno in cui distribuivano le borracce gratis!
    Che ci sarà mai?
    Ovviamente, presa dalla curiosità, mi avvicino anche io: lo studio può aspettare, la sessione è ancora lontana!
    Brusii su brusii: chi è stupito, chi si chiede cosa stia succedendo, chi urla, chi ride…la gente è proprio strana! Chiedo quindi a un ragazzo che se ne sta in un angolo in silenzio cosa diamine stia succedendo di così interessante in questa solita mattina di primavera.
    “mah, dicono di aver trovato uno strano uovo gigante…”
    “uno strano uovo gigante? … ma in che senso uno strano uovo gigante?”
    “si, uno strano uovo gigante! Mi sembra di aver parlato chiaro, UNO STRANO UOVO GIGANTE!!” – risponde stizzito.
    “ehi…calma, calma…ho capito” – mamma mia, che caratterino.
    C’è chi crede che l’uovo possa schiudersi per far uscire una strana creatura soprannaturale, chi morso dalla curiosità vorrebbe romperlo per vedere cosa ne esce, chi pensa già di poter farsi una bella frittata gigante da offrire a tutti i poveri fuori sede invece della noiosa pasta al tonno…
    Finché qualcuno finalmente prende coraggio e si avvicina; aspetta…è quello scorbutico del ragazzo a cui ho chiesto informazioni poco fa! “Eh fermati!!” sento dire, “Bravo, bravo…” intonano altri.
    -Oddio, oddio, oddio…chissà che sarà…- penso tra la curiosità e la paura che se ne esca una strana creatura extra terrestre.
    Quello strano ragazzo nel frattempo, con la solita espressione scocciata, si avvicina e inizia a toccare l’uovo maledetto.
    “sembra quasi finto!”- sussurra-
    “ma figurati…prova a dargli qualche colpo ben assestato se hai il coraggio”-lo incitano
    “Certamente!”
    Primo pugno, secondo pugno, terzo…nulla…l’uovo è più forte del ragazzo misterioso.
    A quel punto altri spavaldi che non vogliono essere da meno rispetto a quel ragazzo si avvicinano, tirano calci, pugni, scuotono, ma nulla…sembra infrangibile…fatto d’acciaio!
    Passati cinque, dieci, quindici minuti…sentiamo il richiamo del maledetto speaker che disturba sempre le lezioni nei momenti sbagliati. – ma che vorrà questo proprio ora?
    “Pronto, pronto, un due tre, prova…si sente, si sente? Si, si sente…ehi dico a voi…stupidi studenti – ma come si permette di darci degli stupidi? – non vi è arrivato il messaggio nella casella di posta istituzionale? Quella che state prendendo a calci è una nuova opera d’arte di Pomodoro, cretini!”

  4. Cosa succederebbe se sulla nostra pelle fiorissero i nostri pensieri?

    I PELI
    -Cosa vuol dire “non lo so”? La pago un sacco di soldi per questa visita, deve darmi una diagnosi-
    Il dottore si grattava il mento, osservando il dorso della mano della giovane paziente. Due lunghi peli, viola e riccioluti, crescevano proprio al centro.
    -Lei è sicura di non essersi tinta?-
    -Mi prende per un’idiota?-
    -Ha provato a toglierli?-
    -Gliel’ho detto: quando il primo ha cominciato a crescere pensavo fosse un pelo normale e l’ho strappato. Al suo posto sono spuntati questi due. E guardi, guardi qui- si scoprì la spalla destra e indicò un punto sopra alla scapola -Ne stanno spuntando altri. Rossi-
    Il medico si avvicinò e annuì con le sopracciglia aggrottate: quattro peletti ramati si facevano spazio tra la pelle.
    -A me sembrano sempre viola. Forse bordeaux- rispose il medico dubbioso.
    -È davvero importante?- la ragazza si ricoprì la spalla.
    -Sono desolato, non so cosa dirle-
    -La prego, lei è il quinto medico da cui vado-
    Era cominciato tutto una mattina del mese scorso: era in ufficio a lavorare quando la sua collega, con l’abituale tatto e gentilezza, l’aveva guardata schifata e le aveva detto “Oddio cara, ma una ceretta no?”. Lei non aveva capito fino a quando non le aveva indicato un lungo pelo che si attorcigliava su sé stesso, allora era corsa in bagno per strapparlo. La mattina dopo quello era di nuovo lì, più forte e lucente che mai. Viola poi, che colore orribile. Da quel giorno era passata di clinica in clinica per riuscire a liberarsene, ma la situazione era solo peggiorata.
    Il dottore guardò l’orologio -Senta, io ho altre visite da fare. Provi a consultare un dermatologo, ne abbiamo di validissimi in questa struttura-
    -Ma lei è un dermatologo-
    -Sì beh, ne cerchi uno specializzato in peli- le aprì la porta dello studio.
    La ragazza uscì stizzita senza neanche salutare. Quel pallone gonfiato aveva all’attivo decine di libri e pubblicazioni, ma non aveva saputo fare altro che liquidarla con poche parole. Si avventurò nel dedalo di corridoi dell’ospedale per trovare l’uscita, ma finì per perdersi tra i reparti e dovette fermarsi per chiedere indicazioni.
    -Mi scusi- domandò a un uomo che spingeva un carrello per le pulizie – dove trovo l’uscita?-
    -Giornataccia eh?-
    -Come scusi?-
    -Dico, è una giornataccia per lei, vero?-
    -E lei che ne sa?-
    -Lo si vede dal colore-
    -Colore?-
    -Sì, con quei neri e quei viola non inganna nessuno-
    La ragazza si pinzò con le dita la radice del naso e inspirò profondamente -Senta, non mi faccia perdere tempo. Sa dirmi come raggiungere l’uscita o devo chiedere a qualcun altro?-
    L’uomo le afferrò la mano e le indicò il dorso: tra i due peli, viola e riccioluti, un filo nero e coriaceo si stava prepotentemente facendo strada.
    -Non mi tocchi!- disse lei togliendo la mano.
    -Non si agiti- l’ammonì l’uomo -Peggiorerà la situazione-
    -E lei che ne sa? È medico?- la ragazza indossò dei guanti per nascondere le mani.
    -Medico io? No no, Dio me ne scampi. Troppo studio, troppa responsabilità…-
    -E allora come fa a sapere che potrebbe peggiorare? Che ne sa lei?-
    -Sarò anche un umile lavapavimenti, ma so riconoscere un pensiero quando lo vedo-
    -Un pensiero?-
    -Certo. Perché, cosa pensava che fossero?-
    -Mi hanno visitato i migliori medici della città e nessuno di loro mi ha fatto una diagnosi simile-
    -Oh certo. I migliori medici della città. E mi dica, cosa le hanno detto?-
    Passò il dottore che prima l’aveva scacciata, reggendo un bicchiere colmo di caffè e ridendo con un collega. Le scivolò accanto fingendo di non vederla.
    -Niente- rispose lei.
    -Niente – ripeté lui – Fossi in lei non ci penserei troppo o prima o poi le spunteranno anche in faccia-
    Lei si tolse il guanto e osservò i peli lucidi sul dorso -Pensieri eh?-
    -Può scommetterci. E della peggiore specie, se posso permettermi. Non ne vedevo così cupi da diversi anni-
    Sospettosa, provò a stuzzicarli. Sentii un formicolio alla testa, ma forse era solo suggestione.
    -I pensieri stanno nel cervello, non nelle mani-
    -Ah, ragazza mia!- disse l’uomo – Hai ragione. Ma dove pensi che vadano, quando finisce lo spazio? Da qualche parte dovranno pur stare, se nessuno si preoccupa di farli uscire-
    -Questa teoria è assurda –
    -È libera di credere a quello che vuole- l’uomo si girò di spalle e fece per riprendere a spingere il carrello.
    -E come si tolgono?-
    L’uomo si fermò – Non sono zecche per le quali basta un aggeggino per scalzarle e liberarsene. Stiamo parlando di pensieri. Sono parte di lei, capisce? Se li strappa ed è fortunata, non torneranno. Ma è più facile che rispuntino, più resistenti di prima. Mica può strapparsi i pensieri dalla mente, no?-
    -Quindi?-
    -Faccia un po’ di spazio lassù-
    -Lassù?-
    -Sì, lassù. Nella testa, dico. Mi creda, una volta fatta un po’ di pulizia si sentirà molto meglio. E con un po’ di fortuna anche i suoi pensieri decideranno di tornare al loro posto-
    La ragazza fissò ancora per un po’ quel pelo nero che cresceva a vista d’occhio sulla mano. Un prurito sulla fronte le diceva che anche lì stava spuntando qualcosa. Rindossò il guanto e si calò una cuffia sulla testa.
    -Beh, arrivederci. E grazie, credo- si allontanò. Aveva sentito fin troppe stupidaggini per così pochi minuti di conversazione.
    Percorse a passo veloce un corridoio e s’imbatté in un bivio: porta di destra o di sinistra? In tutto quel cianciare l’uomo non le aveva nemmeno dato le indicazioni per l’uscita.
    Andò a destra e lo stesso fece per le svolte successive. Non era forse quella la regola per uscire da un labirinto? Appoggiare la mano destra alla parete e non staccarla mai. O forse era la sinistra.
    Ogni nuovo corridoio sottoponeva a continue scelte: destra o sinistra, sopra o sotto, avanti o indietro, scale o ascensore, …si trovava nei sotterranei o al primo piano? L’intero edificio sembrava molto più grande rispetto alla prima impressione che le aveva dato, vedendolo da fuori.
    Che ore erano? Non poteva pensarci adesso. Era in ritardo? Non poteva pensarci adesso. Al lavoro l’avrebbero licenziata? Non poteva pensarci adesso. Chissà se … Non poteva pensarci adesso.
    Ad ogni deviazione il prurito sulla fronte aumentava e nuovi pizzicorini comparivano su tutto il corpo.
    Nel suo vagabondare incrociò un paio di volte il medico di quella mattina, prima solo, mentre si infilava circospetto un pacchetto di sigarette in tasca, poi in compagnia di un paio di infermieri. Il terzetto la superò ridendo a qualche battuta che uno di loro aveva fatto, senza degnarla di uno sguardo.
    Alla fine si abbandonò sulla scomoda sedia di qualche sala d’aspetto. Il freddo bianco delle pareti quasi l’accecava.
    -Non ha seguito il mio consiglio-
    Una voce familiare la fece voltare e si trovò di fronte l’uomo con il carrello delle pulizie.
    -Ancora lei?- disse seccata la ragazza.
    -Potrei dirle la stessa cosa- commentò l’uomo sedendosi accanto a lei.
    -Mi segue?-
    -No. Io non mi sono mosso dal mio reparto, è lei ad aver girato in tondo. Vede? Quello è l’ambulatorio dove è entrata prima-
    La ragazza alzò lo sguardo verso la porta che lui le indicava e vide che aveva ragione.
    -Dov’è l’uscita?-
    -È molto facile da trovare, se si sa dove si vuole andare –
    -Io so dove voglio andare-
    -Ne è sicura?-
    -Certo. Voglio uscire da questo stupido posto-
    -E dopo?-
    Lei lo guardò confusa. Negli occhi di lui regnava una pace misteriosa.
    -Lei mi crede un pazzo, non è vero? Eppure questi mi dicono che ho ragione- le sfiorò i peli sulla fronte, che nel frattempo erano cresciuti talmente tanto da spuntare fuori dalla cuffia. Lei si toccò la faccia e sentì che ne erano comparsi anche sul mento.
    -Cosa devo fare?-
    -Gliel’ho già detto: faccia pulizia. Con un po’ di pazienza dovrebbe sistemarsi tutto. D’altra parte c’è da capirli: chi vorrebbe vivere in un posto disordinato, senza spazio e pieno di cose buttare?-
    -Capirli?-
    -I pensieri. I suoi pensieri-
    Lei si sfilò i guanti e si guardò le mani: una peluria viola le ricopriva.
    -Ora devo tornare al lavoro. Stia bene, mi raccomando- la salutò l’uomo, prima di alzarsi e riprendere a spingere il suo carrello.
    -Aspetti! Come trovo l’uscita?-
    L’uomo si voltò e le sorrise – Quella può trovarla solo lei-
    La ragazza fissò la sua schiena mentre si allontanava, ascoltando il cigolio delle ruote.
    Un forte prurito al mignolo la costrinse a togliersi il guanto: un sottile pelo dorato brillava sottile tra quelli viola.
    Si alzò e riprese a cercare l’uscita, questa volta con passo lento, fermandosi a leggere le indicazioni che prima non aveva notato.

  5. Una mattina mi svegliai trasformata in un enorme e viscido gasteropode terrestre…

    Mi svegliai e, con grande stupore, scoprii di non essere più a casa mia. Dov’era il mio letto, il mio bagno, la mia cucina? Dove avrei trovato il mio yogurt, il latte e i biscotti della colazione? Tutto a un tratto scoprii però che non avevo fame di biscotti, anzi, la sola idea mi ripugnava. Sentii un desiderio improvviso di verde e di fresco… lattuga! Ma dove l’avrei trovata una bella foglia di lattuga, a Milano? Scivolai lungo lo stretto e tortuoso corridoio circolare dove mi trovavo e rizzai le orecch… le antenne! Avevo due antenne con cui percepivo perfettamente che cosa mi stava intorno e in quale posizione! Anche i miei occhi erano sporgenti come due antennine. Nessuna traccia di lattuga, né di odore di lattuga… e nemmeno di qualcosa di lontamente simile alla lattuga! “Vabbè, andrò in università senza fare colazione, poi ci penserò.” dicevo tra me e me… Non avevo idea di che ora fosse perché non avevo un orologio, ma avevo comunque la sensazione di dovermi sbrigare e raggiungere presto la fermata della metropolitana per andare a lezione! Più mi sforzavo ad andare velocemente, più mi sembrava di andare piano. “muoviti Jessica (nome di fantasia), o arriverai in super ritardo!” pensavo… ma nulla.
    Ci misi un tempo infinito a raggiungere la fermata, altrettanto per salire sulla metropolitana. Fu il viaggio più brutto della mia vita: rischiai di essere calpestata una ventina di volte da chi non mi vedeva, mentre chi mi notava corrugava la fronte e storceva il naso. Un bambino urlò perfino un “Bleah!” e scappò via. E pensare che io sognavo da sempre di lavorare con i bambini… Essere rifiutata e perfino schifata da uno di loro mi fece male al cuore.
    Arrivai alla fermata di Ponale e scesi che era già buio pesto, sicuramente notte inoltrata.
    Un giorno era trascorso, un intero giorno solamente per arrivare a Ponale. E mi mancava ancora tutta la strada da lì all’U6… non avevo nemmeno mangiato! Così pensai: “Magari sono così lenta perché mi mancano energie!” e decisi di andare in cerca di qualche bella foglia verde -rara, se pensiamo che non solo siamo a Milano, ma siamo anche a dicembre!-. Finalmente ne trovai un mucchio che mi aggradarono in mezzo a un cespuglio sempreverde non lontano dalle scale della metro. Cominciai a masticare e in breve mi sentii meglio, ma in altrettanto breve tempo mi addormentai, sfinita.
    Mi svegliai quando il sole era a metà del suo percorso giornaliero, l’aria era molto frizzante. “Presto, Jessica, cosa fai ancora qui? Se non ti sbrighi perderai anche la lezione di oggi!” e mi sforzai a usare tutte le mie energie per arrivare in tempo. Peccato che, quando il sole sparì e con lui tutti i suoi raggi, ero a malapena all’altezza del parco della torre. Mi rattristai e decisi di andare proprio lì, al parco, a cercare qualche foglia da sgranocchiare. Al chiaro di luna mi fermai su un mucchietto di foglie di magnolia e feci il mio banchetto, sola e triste.

    Chissà perché ero così triste. Cosa c’è di più bello che condurre una vita senza fretta, senza il pensiero di trovare una casa o di defecare in un bagno, ma solo in cerca di cibo, nuovi sapori, colori, odori? Cosa c’è di più bello che trovare un parco con decine e decine di piante diverse, che posso scoprire e assaporare e godersi per tutta la vita, popolato da altri esseri come me con cui fare amicizia? Cosa c’è di più bello che dormire illimitatamente?
    Dal giorno successivo mi sentii la creatura più felice e appagata del pianeta.

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